Non ho chiaro quali siano le statistiche di vendita di Canyon nel mondo, ma mi è facile pensare che avranno avuto un trend di crescita simile a quello di Amazon, influenzato non solo dalle vittorie nel protour, ma anche e soprattutto dalla sempre crescente attitudine all’acquisto online. Se solo 3 o 4 anni fa sarebbe stato impensabile comprare su internet un oggetto delicato sia nella consistenza che nella tipologia di prodotto, oggi è normale sfrisare qualche migliaio di euro online, e cominciare subito dopo a schiumare bava davanti alla schermata del tracking del corriere come un teenager che ha appena scoperto youporn.

Ogni ruggito di Diesel sembra poter portare l’agognato pacco, ogni “omino”, che vesta blu SDA o marrone UPS viene visto in rosso trainato dalle renne.

L’unpack è quasi rabbioso, il cartone l’ultimo ostacolo verso l’oggetto del desiderio. La foga con la quale si strappa il pack di amazon, dello stessa materia della quale sono fatti i sogni (questa è una citazione di qualche giornalista sportivo di basso livello), viene trattenuta dal dover tenere intatto il cartone per sviluppi futuri.

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Un video pubblicato da bikelikealaker (@bikelikealaker) in data:

Finalmente tra le mani la nuova Canyon, proiettata nel futuro non tanto dalla collezione della quale fa parte (2017), ma dalla scelta di montare su tutta la gamma il sistema frenante a disco, il vero motivo di tanta curiosità.

La bici è montata pressoché in ogni suo componente, ad eccezione ovviamente di ruote (banale), sella (che comunque avresti dovuto regolare) e manubrio/forcella, che necessiterebbe un minimo di attenzione e pazienza, non fosse altro che per la delicatezza dell’eventuale errore di montaggio. Inutile dirlo, accecati dall’infantile desiderio di provare subito il nuovo mezzo (per andare poi dove, in assenza momentanea di pedali), battezziamo con un “questo non serve” la placca sul quale dovrà far forza tutto il movimento dello sterzo, della cui mancanza si accorgeranno gli amici di runandbike.it all’ultimo secondo utile prima di passare la “notte di natale” al reparto maxillofacciale. NB: il montaggio della bici è alla portata di quasi tutti, in caso non si sia sicuri di quello che si fa, andate da un meccanico.

 

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L’intervento riparatorio da un rivenditore BMC ci mette subito davanti al primo confronto, ovviamente un pò di parte per loro, con la RoadMachine, della quale mi fanno notare la forcella con maggiore rigidità e “struttura”; non mi ci soffermo troppo, ritenendo la svizzera una bici con un prezzo obiettivamente eccessivo e con un rapporto qualità/prezzo che non regge il confronto con la tedesca.

Ok, ci siamo. Possiamo saltare sulla sella, e la cosa bella è che possiamo farlo alla bersagliera senza compromettere per sempre l’impianto idraulico, grazie al reggisella brevettato Canyon che, di fatto, ha un’oscillazione di qualche centimetro, ammortizzando colpi e vibrazioni. Geniale: buche e vibrazioni non vengono più trasmesse direttamente alla schiena e quindi al collo e gli effetti positivi sono reali; per la prima volta dopo anni tornerò da un’uscita sopra i 100 km senza mal di collo.

Il percebile confort, punto di forza di una bici che sui pregi si fa concorrenza interna, viene amplificato dai tubolari da 28mm (esteticamente pagano un pò dazio) e dalle geometrie meno impiccate rispetto ai racer.

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Dopo poche pedalate la confidenza è assoluta, e nonostante non sia passato dal biomeccanico, mi sembra la bici sulla quale ho sempre pedalato; le geometrie più comode e i colpi delle buche smorzati aiutano sicuramente a togliere il senso di precarietà che si ha quando non si è a proprio completo agio su una bici nuova.
Le scelte di Canyon si rivelano molto particolari anche in fatto di taglie e relative misure dei componenti: i miei 176 cm si rivelano perfettamente adatti ad una bici di taglia S, che si porta dietro la scelta obbligata del manubrio da 40 cm e le pedivelle da 170. La sensazione generale è quella di una bici maneggevole, compatta, reattiva, facile. Il monoblocco dell’ergocockpit, oltre che bello esteticamente, aiuta in questa sensazione di avere un tutt’uno tra le mani, grazie al quale ogni movimento trova riscontro nella reazione della bici.

Pochi km e la convinzione diventa sempre più certezza: inutile sperare che il biomeccanico trovi una posizione nella quale non avrà mal di schiena su una aero. La bici per sempre è questa. Potrò tradirla con qualche colpo di testa per delle specialissime tanto belle quanto scomode. Potrò invaghirmi di qualche ruota grassa, ma tornerò sempre da lei.

Mentre penso a come trovare altri paragoni romanzati, mi risveglio con il più classico dei “botti” di un copertone tagliato, che arriva alla orecchie di Max, che mi precede, con l’inevitabile bestemmia che un Continental buttato dopo 6 km non può evitare.

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Il mio test con i 28 si ferma qui, per proseguire con le Michelin Power Endurance da 25, tanto performanti quanto impossibili da mettere sui DTswiss in alluminio che equipaggiano la Endurace che stiamo provando (cuscinetti molto scorrevoli, reattività allo scatto non da top di gamma).

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La prima sosta forzata, in attesa dei nuovi copertoni, mi porta alla contemplazione dell’aspetto estetico. Bella, cazzo. Veramente bella. I dischi tolgono dal telaio inutili ferri e solo a loro necessari fili, rendendo le bici essenzialmente naked.
Fughiamo però il primo dubbio, nonostante il nome non desse adito a dubbi (Kerosene Red), mi ero convinto fosse arancione. Non è arancione: con mio grosso stupore è rosso, un rosso kerosene, arriverei a dire.

Bruciate per la sosta forzata velleità di chilometraggio in tripla cifra, decidiamo di fare una lunga salita, funzionale evidentemente alla lunga discesa, alla quale è dedicata questa prima uscita.

L’inevitabile salita ci svela come la Canyon Endurace, rivelando la tua diretta parentela con la Ultimate, dia il suo meglio nella pedalata agile in salita, seduti. La pedivella corta aiuta la mulinata alla Froome, ma è il complesso a dare quella sensazione di salire in agilità senza troppa fatica (di questa affermazione ne riparleremo alla prima cotta, quando la vorrò lanciare in qualche prato).

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Nel frattempo siamo arrivati in cima e possiamo cominciare a divertirci, ma comincio dalla fine. E’ obiettivamente incomprensibile perchè un amatore possa oggi mettere in discussione l’assoluta necessità di avere i freni a disco sulla propria bici da corsa. Per godere della gioia del freno a disco non c’è bisogno di aspettare di mettere le dita sui freni. Prima ancora di frenare, alla prima semicurva si può godere della rigidità e della sensazione di sicurezza che il perno passante trasmette. Poi arriva la frenata, graduale, morbida, senza fatica. Non c’è il ritorno nelle dita della buca presa mentre stai frenando. Non c’è il dolore dopo 15 minuti che deriva dal dover stringere la leva. La discesa è buona qui (nel’umore), ed è buona qui (nelle mani), citando una vecchia pubblicità del thè infrè.

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Graduale e sicura, la frenata con i dischi, per me che peso oltre 85 kg è qualcosa alla quale non rinuncerò più, e non voglio sentire cazzate su estetica, manutenzione, sicurezza.
#maipiùsenza

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Posted by Gio

Terzino sinistro per indole, ciclista per esigenze di salute, comincia a pedalare dopo aver sfondato la soglia dei 100 kg. Si appassiona alla bici e tenta di dimagrire per andare meno piano in salita. Ossessionato dalla tecnologia scopre Strava, dal quale sta tentando di disintossicarsi. Pedala sua una BMC RoadMachine con Campy Record EPS Disc e Bora.

2 Comments

  1. ottimo articolo!
    si può montare il rack portapacchi (e trasformarla cosi in una tourer) oppure devo orientarmi su altri modelli?

    Rispondi

    1. Ciao Jean,
      ci fa piacere ti sia piaciuto l’articolo, grazie!

      Il montaggio del rack è sconsigliato, ma esistono prodotti in commercio; se però si rompe stelo o il telaio Canyon non copre la garanzia poichè il danno è causato da un accessorio non ufficiale e comunque il pezzo non è pensato per tali carichi.

      Di base lo potresti fare ma a tuo rischio e pericolo: don’t try this at home!

      Ciao
      gio

      Rispondi

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