Non è la prima volta che mi imbatto in una divergenza di opinioni sullo stato della fighetteria nel ciclismo. Qualche mese fa lessi dello scontro filosofico tra chi indossa capi Rapha e il resto del mondo. Il tema, da quanto capisco, è in parte dettato dallo scontro generazionale di chi proviene da un ciclismo fatto di sudore e mezzi poveri ma ritenuti efficaci, a un nuovo approccio che non può prescindere dal sudore, ma che ha iniziato a sposare la tecnologia e a non disdegnare il piacere fine a se stesso.

Paolo Bettini con i Mapei team colors in 2002. Photo: Tim De Waele | TDWsport.com
Lo spunto arriva da un commento che abbiamo ricevuto su un post relativo alla biomeccanica e che secondo me riprende un po’ quello che viene descritto nell’articolo linkato più sopra e il cui titolo è abbastanza esplicativo: “Perché così tanti ciclisti adorano odiare Rapha?”. Si tratta di uno scontro di opinioni che ho visto in altri settori e che ho vissuto nel mio lavoro, quando internet era considerato solo uno strumento per pedofili e ladri di identità, o quando qualcuno reputa tutt’oggi che facebook sia una perdita di tempo e non un nuovo media con cui comunicare.
Nell’articolo si legge che chi non apprezza tutta questa fighetteria sono coloro che vanno in bicicletta da quando erano adolescenti e che sentono il proprio sport cambiato, diverso da quando andavano dal meccanico a farsi mettere in sella ad occhio, senza troppe diavolerie tecnologiche.
Di certo il ciclismo sta crescendo in maniera esponenziale e ha portato sulle strade tantissime persone (compreso me), che prima non avrebbero mai preso in considerazione questo sport se non quando si imbattevano in auto nelle file disordinate a intralciare la propria gita domenicale. Nella sua crescita è chiaro che arrivino persone di diversa estrazione e che hanno magari diversi principi che li hanno portati in sella e che non sono riconducibili a una passione nata in famiglia o comunque nata con il primo sport praticato.
Il ciclismo è ormai considerato uno sport sociale, in grado di creare nuove relazioni e permettere a nuove persone, diverse da quelle che prima si trovavano per strada, di vestirsi di lycra e di mettersi in sella. Questo nuovo pubblico ha portato bisogni ed esigenze diverse che provengono da un mondo vissuto che si sposa con nuovi modelli, tra cui quelli di Rapha, ma anche quelli di Garmin e di Strava e di tutte le novità che chi frequenta questo mondo da anni reputa come inutili o forvianti, da quello che prima ero il loro sport. In realtà avere dei dischi sulla propria bici da strada non è sinonimo di debolezza, ma di cambiamento verso una tecnologia che si sta dimostrando più sicura e affidabile dei vecchi pattini. Avere un computer sul manubrio permette di migliorare le proprie performance e trovare stimoli che prima si potevano ritrovare solo raccontando qualche balla al bar circa le proprie avventure in salita.
Chi ama questo sport o meglio chi ama lo sport in genere, dovrebbe essere felice di vedere un nuovo fermento dietro tutte queste novità che sta portando un pubblico nuovo e quindi diverso, con cui condividere la passione su due ruote, che è ciò che alla fine conta. Ci saranno sempre e comunque delle differenze dettate dai soliti modelli di consumo, ma pensare di fermare l’evoluzione mi fa pensare a quei giornalisti che 20 anni fa gioivano ogni volta in cui internet riceveva attenzione perché qualcuno aveva commesso l’ennesimo cybercrimine.
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