L’ho sentito fin dalle prime pedalate che c’era qualcosa che non andava. Un rumore sordo dalla catena, con salto di un dente casuale che mi ha lasciato perplesso già dai primi chilometri di pedalata. Vedrai che passa.

Mi sono fermato. Ho controllato, ho tolto un po’ di schifezze impastate tra pignoni e pedivelle sentendomi in colpa per tutte le volte che mi sono detto che avrei dovuto pulire la catena ma che poi non ho mai fatto, dando priorità ad altro. Sono arrivato a mettere l’olio senza pulirla, per me una bestemmia.

Riparto e sembra di nuovo tutto a posto, fino a quando su un minimo di pendenza ho schiacciato un po’ di più e taaaac la catena che salta e io che mi preoccupo. Va beh, mi dico maritozzo e poi a casa, 70km in pianura e poi la porto a far vedere, dopo averla pulita per bene.

Mi vengono in mente la salita al Venini con lo sterrato impantanato dove ho raccolto fango e polvere. La salita a Montemezzo con le strade ancora umide dalla pioggia del giorno prima. Quel fottuto rivolo che devo attraversare regolarmente e che cerco di saltare ogni volta per impedire all’acqua di farmi sentire ancora più in colpa.

Mi si attacca un tizio alla ruota. Vai piano, devi sciogliere. Vado piano. E poi ricordati del rumore, non vorrai che succeda qualcosa. Vado al mio passo e arrivo in un tratto dove camion e bus si incrociano e non lasciano passare nessuno, tranne noi ciclisti. Passo, mi alzo sui pedali e riprendo.

Sono a metà strada tra due negozi di ciclismo, se dovesse succedere qualcosa sei nella merda. Altra coda, altro rallentamento. Supero, mi alzo sui pedali e traaaaaaam. “hai rotto la catena” sento da dietro, e grazie al ca…. Lo so anch’io che ho rotto la catena, pende tristemente dalla cassetta, senza speranza. Dove sono? Sala Comacina. “Scusi c’è il battello?” “Qui sotto!” 50m e mi siedo davanti all’imbarco della navigazione davanti a uno scenario da film americano: l’isola Comacina, Bellagio, il San Primo, poteva andare peggio, poteva esserci lo sciopero dei mezzi.

E così scopro che dopo due ore di attesa del battello, non dovrò discutere se portare la bici a bordo, perché quel battello non è mai partito. Chiedo a casa che qualcuno mi venga a prendere, ma gli impegni di tutta la famiglia non coincidono con i miei: un giorno libero buttato nel cesso, per colpa di una maglia di catena o di un dente di una corona ormai consumati.

Ecco allora dieci consigli per evitare che capiti anche a voi.

1. Mai lesinare sulla pulizia della bici, anche quando non ne puoi più… è un tema su cui c’è poco da discutere: una bici pulita e ben tenuta va anche più veloce, ma soprattutto ti consente di capire se è il momento di portarla a farla sistemare per un intervento importante. Lo sporco spesso nasconde magagne e problemi che emergono in una tranquilla giornata di sciopero dei mezzi…

2. Oliare la catena senza pulirla non è mai bene, può essere un modo per togliere qualche scricchiolio, ma appena rientrati non ci dovrebbero essere scuse né tentennamenti: è arrivato il momento di pulire la catena. Punto. Nel mondo della vela si discute spesso di quando sia il momento giusto di ridurre le vele (in gergo terzarolare). La risposta è semplice: quando te lo stai chiedendo per la prima volta.

3. È bene prestare attenzione ai rumori della catena soprattutto se non sono i soliti scricchiolii del tipo che passa con la bici zozza, lasciata a marcire in cantina, con la ruggine che fa capolino tra una maglia e l’altra.

4. Usa Strava e i suoi strumenti per tenere traccia dell’usura dei componenti. Di ciascuna bicicletta è possibile capire i chilometri di uso del singolo pezzo senza fare altro se non definire il momento in cui il componente è stato montato. Ovviamente vale anche per la catena. Se l’avessi fatto, avrei capito di aver raggiunto il limite d’uso con i suoi 20.000km…

5.Non serve portarsi smaglia catena e falsa maglia, basta seguire quanto sopra. È uno strumento abbastanza pesante e ingombrante che non piace a noi ciclisti da strada. Li porto quando esco in MTB dove per la dinamica ha più senso. Seguendo le banali regole di controllo e pulizia i problemi si riducono a zero (o quasi).

6. La catena nuova imburratta è come una pizza appena sfornata: irresistibile! Uno dei motivi per cui vale la pena mettere una nuova catena è sentire tra le mani la cera che viene spalmata sulle maglie per evitare che il metallo si corroda durante la gestione logistica. Ecco un dettaglio, quella cera non è il lubrificante, in teoria occorre oliare la catena nuova.

7. Il misuratore di usura serve solo a sedare i propri sensi di colpa. Quell’oggetto che si infila tra le maglie e che di permette di capire il livello di allungamento delle maglie non mi è mai entrato fino in fondo per segnalarmi che era giunto il momento di cambiare la catena. Uno strumento ottimista di natura, poco affidabile quando serve.

8. Con la catena nuova non hai ancora risolto tutti i problemi: il motivo della rottura può essere nascosto in uno o più denti della corona o della cassetta che lavorando male hanno sforzato la meccanica della catena portandola alla rottura. Per cui una catena nuova rischia di finire presto come quella vecchia se non si arriva a capire veramente il motivo del problema.

9. La rottura della catena è definitiva. Non ci sono mezzi per sistemarla al meglio e così continuare, a meno di accettare la rottura della meccanica a valle. Se rompi la catena senza gli strumenti giusti, nemmeno Mac Gyver ti riporterà a casa. Mettiti il cuore in pace.

10. Non succede ma se succede… allora spera che capiti il più vicino possibile e in un posto con i mezzi a disposizione. Se no rischi di capire quanto basso sia il tuo contributo verso la società e le dinamiche famigliari. Spera poi che la famosa solidarietà tra ciclisti funzioni anche con il tizio che ti sta succhiando la ruota da una decina di chilometri, così magari ti dà una mano a recuperare una falsa maglia nel negozio che dista qualche chilometro, anziché gridare l’ovvio. Zioporco.

La distanza di un centimetro circa tra la vecchia – sporca – e quella nuova – imburrata.

Posted by Max

Ciclista da quando è nato. Ha provato la sua prima bici da corsa nel 2015 perché si erano esauriti gli sport da lui praticabili e ne è rimasto folgorato: "posso tornare a fare sport senza soffrire di tendinopatia!", per poi tornare a soffrire sulle salite attorno al lago di Como. Lavora in aziende digitali da vent'anni e pratica anche la vela (senza soffrire). Ha una Wilier GTR 2015, una Passoni XXTi Campy Super Record + Bora e una Canyon Neuron. Scrivigli a max@bklk.it

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