La prima volta che ho visto Pantani è stato il 5 giugno 1994, sul penultimo tornante del Mortirolo.
Erano i tempi in cui all’inizio di ogni corsa a tappe si sapeva già che Indurain avrebbe distrutto tutti a cronometro e in salita si sarebbe messo in testa con la sua faccia da sfinge a dettare un ritmo che anche gli scalatori migliori era già tanto se gli tenevano la ruota, senza la minima speranza che le cose potessero andare diversamente (capolavori come l’impresa epica del Diablo Chiappucci al Sestriere a parte). Dopo che negli ultimi 4 anni con la sua classe indiscussa aveva trasformato in noia tutto quel che aveva toccato, c’era voglia di qualcosa di nuovo e di un po’ di fantasia per scombinare le carte.
Il giorno prima nel tappone dolomitico Pantani, allora sconosciuto giovane di belle speranze, qualche speranziella l’aveva data partendo come una moto negli ultimi chilometri del Passo Giovo e buttandosi in discesa praticamente seduto sulla ruota posteriore per essere più aerodinamico, ma era oggettivamente poco per illudersi che un giovane alla prima vittoria da pro potesse battere Indurain.
Era anche un millennio prima che gli iPHONE cambiassero il mondo, tra gli spettatori che aspettavano la gara giravano ancora voci del tipo “Zoff di testa al novantesimo” senza timore di essere smentiti da uno smartphone che desse la posizione precisa in tempo reale di ogni corridore; per sapere dov’era il gruppo dovevi ancora tendere l’orecchio per sentire l’elicottero della RAI in lontananza e poi allungare l’occhio per cercare giù a valle le prime moto pattuglie, poi aspettare l’assistenza tecnica e la moto della RAI e quando vedevi la sua faccia dietro la motocamera RAI sapevi chi era il primo.
Quel giorno in cima al Mortirolo eravamo così tanti che anche a guardare giù non vedevi la strada, quando sono arrivati i corridori dalla marea di gente in lontananza spuntavano solo le bici sul tetto dell’ammiraglia, in compenso il boato cresceva mano a mano che al testa della corsa si avvicinava tanto che non si sentivano più neanche gli elicotteri. Poi la folla si è aperta e dietro la moto RAI invece della faccia impassibile di Indurain è apparsa a sorpresa quella dello stesso ragazzino esile, spelacchiato e con le orecchie a sventola (insomma, un vero sfigato) che il giorno prima sulle Dolomiti aveva staccato tutti. E anche qui è passato con la stessa faccia concentrata, gli stessi muscoli del torace e delle braccia tirati sulla bici e quelli delle gambe leggeri sui pedali, volando su dove tutti gli altri arrancavano (e quando sono arrivati gli altri, Maestà Indurain a parte, si è visto che salire così era cosa proprio per pochi), un misto di potenza leggerezza fatica forza mentale determinazione e sudore. E’ stato un attimo, giusto il tempo che facesse il tornante e la folla si richiudesse alle sue spalle per incitarlo anche da dietro, un soffio che ha lasciato il profumo della vittoria di Davide su Golia e la speranza di un futuro (ciclisticamente parlando) migliore.
Il futuro migliore in effetti è arrivato, quel giorno (probabilmente anche per un’evoluzione del doping) è iniziata la fine dell’era Indurain e Pantani è diventato quello che è diventato, così forte (nonostante un abbonamento con la sfortuna) che se appena stava bene in salita non ce n’era per nessuno, a modo suo prevedibile nella sua superiorità quanto lo era stato Indurain, anche se con la simpatia che solo chi per vincere deve superare l’handicap delle cronometro con imprese spettacolari in montagna riesce a suscitare.
Per uno strano scherzo del destino ero sul Mortirolo anche 5 anni dopo, nel 1999, quando Pantani era in maglia rosa ed era scontato che per primo sarebbe passato lui; quel giorno invece Pantani non è proprio passato, né primo né ultimo, è rimasto a Madonna di Campiglio, lasciando che il Giro salisse sul Mortirolo tra due muri di folla ammutoliti dalle voci salite per la montagna grazie al telefono senza fili, con la sola speranza che la voce che girava di bocca in bocca fosse vera come quella di Zoff goleador.
Invece no, era tutto vero, quello era proprio l’inizio della fine.
Tra questi due tappe è successo di tutto; Pantani ha vinto e divertito in salita, è diventato un Dio, è andato a sbattere contro la sfortuna e si è rialzato sempre più forte di prima, ha fatto imprese molto più spettacolari di quelle al Giro del 1994 e ha fatto la doppietta Giro-Tour. Eppure, a 15 anni dalla sua tragica scomparsa (14.2.2004), a me piace ricordarlo raccontando quell’istante in cui sul Mortirolo ci è passato davanti quando nessuno se lo aspettava, un soffio che ha detto come sarebbe cambiato il ciclismo negli anni successivi. Non è stata probabilmente la sua vittoria più grande, ma per chi c’era probabilmente l’emozione più grande che ci ha lasciato, quella che a distanza di 25 anni ricordo ancora.
Sempre nei nostri cuori.
Immagine di copertina: lepoeloton.co
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