Con le granfondo che sono ormai un lontano ricordo del quale non sentiamo la mancanza, cominciamo a pensare al nostro ormai rituale weekend lungo di cicloturismo quando siamo ancora nel pieno della terza ondata COVID; blocchiamo il weekend finale di giugno “Perfetto, è quello dei miei 40”, sappiamo che pagherà da bere quello che non beve.

Poi arrivano i post della Chase e decidiamo di aggiungere impresa all’impresa: mettiamo in coda al coast to coast la nostra vacanza sui 28” (25”, per chi avesse una Passoni con foderi adesi). La accendiamo? La accendiamo. Tesseramento al teamcomobike che non riusciamo a pagare (grazie!), visita medica con il solito foglio giallo che non si trova mai, iscrizione a costi da evento elitario e ci siamo. Mancano solo dei pezzi di logistica: come andiamo a Cesenatico? Affittiamo furgonello col drop-off? Geniale, ci pensa Max che poi non ci pensa e siamo fuori tempo massimo.Treno? Viaggio della speranza, mi rifiuto! Decidiamo di fare diventare il nostro tour un coast to coast to coast che ci permette di andare in macchina a Cesenatico, fare la chase, tornare a Cesenatico in 3 giorni e riprendere la macchina. Siena, gole del Furlo, Urbino. Spettacolo!

Guardiamo il meteo 3 giorni prima, a Siena ne danno 38, saremmo lontani dall’acqua, non troviamo itinerari che ci fanno godere e rimettiamo tutto in discussione. Gian ci riprova: in 6h44min saliamo a Como centrale e scendiamo a Cesenatico, con 27 euro + 3 di supplemento bici. La accendiamo? La accendiamo.

Ritorna di moda l’itinerario Tra la via Emilia e il West, e la chat si infiamma con suggestioni sul bagaglio e sugli itinerari.

Metto subito le cose in chiaro: sacrificherò ogni cosa sull’altare di un bagaglio minimale, sapendo che non tanto il peso, ma il baricentro della bici, sarà un tema fondamentale.

Immediatamente stilo la lista su google keep di quello che dovremo condividere: dentifricio, multitool, pompa. Il deodorante no, quello non serve.

Una mutanda una, una t shirt una, un boxer uno. E sulle scarpe il colpo di genio, le scogline di decathlon, 6,99 euro per fare passare la paura. 360 gr e un volume ridotto al nulla.

Brutto e sporco, come nel vecchio west, la direzione nella quale percorreremo la via Emilia.

Jan comincia a condividere percorsi Strava pieni di voglia di pedalare, che sembrerebbero non tener conto del fatto che partiremo con nelle gambe i 275 km della chase. Nelle gambe ma non solo. Nelle gambe, nella schiena, nelle mani, nel soprasella. 

Optiamo per una domenica di decompressione con soli 105 km di pianura dalla Versilia a Riomaggiore, un lunedì con 3 colli, e un martedì con l’obiettivo di tornare a casa.

Nel viaggio in treno facciamo da tutor a Filippo, il Bancora con il motore giusto, e lo lasciamo alle sue stories mentre andiamo a ritirare il pacco gara della chase. Sgambata di 30 km nel peggior traffico del venerdì sera, crescione che ci rovina la cena, e ci prepariamo per svegliarci alle 4.

 

La cronaca della Chase è lasciata alla penna rovente del nostro innovation manager, e potete leggerla qui.

 

Il giorno 2
The day after: Tirrenia – Riomaggiore

Partiamo increduli alle 12, l’orario perfetto per pedalare d’estate: la BMC di Jan non cigola più e vola con un sibilo.

Non altrettanto efficiente è la mia Roadmachine: mi sveglio con la ruota dietro sgonfia che ripompo grazie ai ragazzi di Gio’n’dent e ai loro strumenti professionali.

Passiamo la prima ora tra la digestione del bacon, che ha già compensato le 6.500 calorie spese il giorno prima,  le mezze ciclabili, le statali nelle quali i gitanti della domenica la fanno da padrone e lungomare affollati. Pranziamo a Marina di Pietrasanta: un gelato, due coche, un estathe, 4 mezze naturali. La sensazione di disidratazione sarà una compagna costante dei 4 giorni: fontanelle come miraggi!

C’è chi litiga con chi taglia le ciclabili, chi si butta nelle fontane, chi si accovaccia in parchetti per non essere visto.

Incontriamo un follower che ci sorprende mentre la discussione è quella di 3 maschi in un weekend da scapoli: dyson vs roomba.

Doppiamo La Spezia con il suo splendido stadio sul lungomare che tanto ricorda il nostro Sinigaglia per l’unica salita di giornata che ci porterà a Riomaggiore, spettacolare paese nelle cinqueterre.

Arriviamo nella piazzetta con l’Italia ancora sullo zero a zero, beviamo una birretta prima del check-in e mentre Max esulta al gol di Pessina, io e Jan andiamo in picchiata sulla spiaggia di sassoni, dalla quale ci godiamo un bagno vestiti in qualche modo.

La risalita è decisamente meno gradevole della discesa, con la salsedine sotto i piedi, il costume che sfrega sulla sella, ed il 22% del paese che è come una scure.

C’è spazio per un secondo aperitivo sulla terrazza più bella della zona, dove ancora non è arrivato eco dell’aristocraticità del gin e dei numerosi abbinamenti possibili con la tonica “Che Gin hai?” “Belin il Tanquerai è finito, il Gordon”

Ci meritiamo LA cena e Alice è al primo posto su TripAdvisor. Nascosta trai gradini, ci fa sedere nell’unico tavolino dove la vita non è in pericolo, e mangiamo di fianco ad uno spericolato avventore la cui sedia è a pochi centimetri dal diventare il suo patibolo.

Ostriche, trofie, polipo e Pigato.

Chiudiamo con un amaro che doveva essere solo per i locals e che Bezos porta in tutto il mondo, rovinando il romanticismo del momento. Max con una banale scusa estorce il numero di telefono dell’oste: ne otterrà solo un credito d’iva.

 

Giorno 3
Il giorno dei GPM: Riomaggiore – Bobbio

Il terzo giorno inizia come il secondo: con la mia ruota dietro sgonfia.

Decido di cambiarla per non rischiare di sprecare una bomboletta di co2, per la gioia di Max, tutto orgoglioso delle sue camera d’aria tubolito che per una volta non lo costringono a pitstop continui.

Due minuti di orologio e sono già in sella, pronto per uscire dal paese con la prima fatica di giornata: strappetto al 15%, poi 10 km di salita con in mezzo una discesa. La gamba, incredibilmente c’è. E si sta sempre meglio: gestiamo il ritmo, ma più passano i km e più la pedalata è rotonda. Chissà cosa sentenzierà la bilancia al rientro: libellule?

Torniamo ad altitudine zero per prendere il Bracco da Levanto: poco meno di 9 km di splendore, valorizzato dal traffico del lunedì. Zero macchine, zero moto, salita tutta per noi!

A Sestri arriviamo con la spia della riserva accesa, quando mancano ancora 90 km, con i 25 km del passo della Forcella e la cima Coppi a 900 mslm.

Pizza coca prima del bagno che ci darà la forza di ripartire: non per tutti!

Max cerca di convincere Jan che le 3 ore e 30 tra l’ultimo boccone e il tuffo non hanno fondamento scientifico, le sue certezze vacillano ma non crollano.

Entra giusto per riempire di salsedine il fondello del suo panta, ma tiene lo stomaco lontano dallo spettro della congestione: prudente.

La doccia comunale e la vestizione sono uno spettacolo non adatto ai minori. Sono le 15:20 e manca ancora tanto. Il Wahoo al sole segna 50°, siamo un pelino preoccupati.

Il passo Forcella dice di essere lungo 25 km con una pendenza media del 3,3%, dove il barbatrucco ti fa Nibali: nascondo dallo schermo i dati della salita e mi illudo di volare come se la pendenza fosse più impegnativa.

Salgo, forzando sempre di più e godo, con la maglietta aperta che svolazza, il silenzio della montagna, il freschetto degli alberi. Figachebello!

La discesa è bella quanto la salita ed è il premio all’ultimo anno con la vita a metà, mi viene naturale togliere le mani dal manubrio e aprire le braccia per prendere tutto il bello nel quale sono immerso.

Prenotiamo Bobbio in un agriturismo che tra gli altri ha il difetto di essere a 2 km dal centro, con punte al 27%. Arriviamo inferociti per trovare una brandina al posto del terzo letto, scarafaggi nella doccia, la infinite pool con il mocio vileda con l’acqua sporca e la gestione cinese a parlarci di gutturnio e gnocco fritto.

Scoprirò che con l’acqua non si frigge.

Dobbiamo decidere dell’ultima tappa, la traccia che ci propone strava prevede subito 1.000 metri D+ per uscire da Bobbio. Non entriamo nel merito del perchè e troviamo un percorso che allunga di 30 km, ma evita il Monte Perice, che poi scopriremo essere una chicca che non avremmo dovuto evitare.

 

Giorno 4
La locomotiva: Bobbio – Milano – Como

Ci svegliamo dopo una notte trai sudori della camera, con il montenegro bevuto al posto dell’amaro del capo che ci lascia intontiti.

Foto di rito sul ponte dei Gobbi, e poi parte la locomotiva di Rovio: strappi a 42 all’ora che Max si rifiuta si assecondare.

Sembrava avesse dentro un potere tremendo, la stessa forza della dinamite.

Il primo strappo si conclude in un bar che Max non vede, superandoci ignaro coperto da un furgone.

“Bravi, bravi, andate più forte”, la condivisione posizione del Wahoo ce lo fa vedere un paio di Km avanti, e il missile del Ticino fa del ricongiungimento la sua missione.

Sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno, mordesse la rotaia con muscoli d’ acciaio, con forza cieca di baleno.

In 3 chilometri ne recupera 4, ma il traguardo volante gli riserva il Max furioso “Bravo, bravo, scemo, mi devo mettere in posizione? devo farti vedere che sono capace di andare a 40? Guarda, sono capace”.

Solo un ghiacciolo alla menta lo riporterà di buon umore: infantile.

A Pavia pranziamo con un mangiaebevi (pesche al barolo, limone al moscato) che ci da le energie mentali per affrontare i 38 km che si separano da Porta Garibaldi, da dove decidiamo di prendere il treno per Como.

Le ciclabili sul Ticino sono una meraviglia rispetto alle aspettative. Stranamente Max si stacca davanti sfruttando un momento di incertezza e Jan reimpugna le corna della sua Teammachine da ***,** €

Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura e prima di pensare a quel che stava a fare, il mostro divorava la pianura.

Essere in luoghi sempre frequentati in altra veste con la bici da corsa ha il suo fascino, ma il resto di Milano è da incubo, tra binari del tram, porfido, caldo, traffico.

Entriamo in stazione con Max che ha perso la mascherina e tenta di sostituirla con una fascetta che sembra l’elastico delle mutande: fashion victim.

Una granita al cocco a Como mette il punto a 5 giorni da sogno, durante i quali abbiamo riabbracciato il senso del ciclismo, tra libertà e condivisione.

Settecento chilometri e settemila di dislivello positivo, 34 euro spesi di treno.

Diciassettemila calorie bruciate e un chilo in più sulla bilancia rispetto alla partenza.

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Ringraziamo Limar per averci fornito i caschi, che ci sentiamo senza paura di consigliare: stupendi, leggeri e comodissimi.

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Posted by Gio

Terzino sinistro per indole, ciclista per esigenze di salute, comincia a pedalare dopo aver sfondato la soglia dei 100 kg. Si appassiona alla bici e tenta di dimagrire per andare meno piano in salita. Ossessionato dalla tecnologia scopre Strava, dal quale sta tentando di disintossicarsi. Pedala sua una BMC RoadMachine con Campy Record EPS Disc e Bora.

One Comment

  1. […] Chiusa la Chase inizia un altro viaggio, quello di rientro, ma questa è un’altra storia. […]

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