“Secondo me tu hai il piede più grande del mio.” Così ci siamo conosciuti al campo da calcio dove i nostri figli giocavano. Hai guardato le mie Clarks e hai messo il piede di fianco al mio: avevi ragione. Due omoni, tu più omone di me perché il salame una volta aperto lo si finisce tutto. Così come la barretta di cioccolato e il panettone. Nessuna mezza misura, tutto o niente. “Mi hanno detto che hai iniziato ad andare in bicicletta, quando usciamo insieme?”
E così è nata una di quelle amicizie di mezza età, di cui avevo letto solo in certi libri. Mi hai preso sotto le tue ali e mi hai portato in bicicletta, con te. La sento ancora quella sensazione di sicurezza quando ti mettevi davanti e iniziavi a pestare, io dietro che cercavo di non perdere la scia: giù un dente e via sulla strada alta verso Schignano: “la mia salita preferita, Maz. Esco di casa e vado verso Argegno, prima o poi la dobbiamo fare insieme.” Maz, perché Tommy tuo figlio non riusciva a pronunciare bene la x e Maz sono diventato. Solo per te.
“Andiamo a fare il giro del lago?” mi chiedesti un po’ di Schignano dopo.
“Come il giro del lago? Si può fare il giro del lago in bicicletta?”
…
“Prima però ti porto a Carcente, andiamo.”
Pensa che solo qualche settimana fa ho fatto il mio PR su quella salita che ci piaceva da matti: “senti il sole sulla schiena, che spettacolo!”. Eccome se lo sentivo. Mi dicevi di non andare così veloce perché poi sarebbe stata dura, ma io non lo sapevo, non capivo, erano le mie prime vere salite. Ogni volta che ci ripasso lo dico a chi mi sta al fianco: qui ho messo giù il piede per la prima volta, con Paolone. Quello strappo al 15% dove tu salivi zigzagando, mentre io ho mollato e sono sceso. Ma poi siamo arrivati in cima e tu come al solito hai attaccato bottone, con la signora alla finestra. Stare con te significava, conoscere tutti quelli che ci circondavano, perché non ti trattenevi nel regalare la tua gioia di vivere.
E poi di nuovo dietro di te, iniziando a mettere fuori qualche volta la testa, cercando di resistere alla sofferenza durante il mio primo giro del lago. A Valmadrera, durante quel giro, mi hai letteralmente spinto fino alla rosticceria per fami mangiare riso e patate, non ne avevo più. La mia prima crisi di fame e una stanchezza immane, pensavo che non sarei più riuscito a tornare a casa. E invece di nuovo dietro ai tuoi polpacci mi hai riportato a Como, raccogliendomi anche dalla strada quando sono scivolato a Bellagio.
E poi la Randolario, con te in picchiata giù dalla Valsassina, perché avevi la velocità nell’anima, e io con le spalle rotte che non riuscivo più a curvare. Il Diavolo in Versilia, con le prime forti emozioni da Granfondo e le pedalate sul tuo lungomare. Fino alle due forature attimi prima della partenza della Stelvio Santini. Le bestemmie in salita e la gioia di ritrovarti sotto il tendone: il tuo sorriso all’arrivo in cima al Passo. Ero spossato, rotto, distrutto, piegato. Ma ancora una volta, forse per l’ultima, mi hai riportato a casa nonostante poi mi dicesti che dalla sofferenza che provasti sulla salita, capisti che c’era qualcosa che non andava.
L’inizio della fine.
Ciao Paolone. Mi sei mancato in questo ultimo anno, da quando hai dovuto smettere di pedalare. Mi sono mancate le nostre chiacchiere da salita. Come quelle che ci siamo scambiati salendo a Madrona, te le ricordi le risate? … Quella volta in cui in discesa ci fermammo a guardare il cervo che brucava in un orto poco prima di Rovenna: un inno alla vita, sembra quasi ironico a pensarci ora.
Ti porterò sempre nel cuore e guarderò sempre davanti nella vana speranza di scorgere i tuoi polpaccioni spingere sui pedali per guidarmi verso casa.
Grazie per avermi regalato così tanto, in così poco tempo. Ma non pensare di aver smesso di pedalare, quello lo farai sempre con me, forse saremo un po’ più al vento di prima, ma ogni volta cercheremo un altro paio di polpacci dietro cui tirare il fiato e ripartire.
😞