Dieci minuti di blackout.
La voglia di tornare a casa.
Un dolore sordo alla spalla, perché?
Andiamo a casa! Perché ci siamo fermati?
Dopo una giornata da bollino rosso, con salite alle baite di Brunate insieme a un gruppo di amici del gruppo Enel, mi ritrovo a guardarmi attorno con tre che mi scortano verso casa. Pedalo tra di loro, in scioltezza direi. Cosa diavolo è successo? Sono caduto. La discesa finale, l’albero in mezzo al sentiero, io che cerco di passare in mezzo, un ramo che mi prende il manubrio, me lo gira. Blackout.
Arrivo a casa e il dolore inizia a farsi sentire, non è più sordo. Chiedo ghiaccio. “Andiamo al pronto soccorso?” “In che senso?” “Andiamo al pronto soccorso.” “Va bene.”
Sento muoversi qualcosa nella spalla, come se un pezzo di osso o di un legamento si stia muovendo e non riesco ad alzare il braccio senza provare dolore. Racconto alla “reception” del blackout e della spalla. Un paio di tocchi dell’infermiere a cui segue la sentenza: “clavicola” “rotta?” “sì” “…”. Codice arancione, non per la spalla ma per il blackout.
Tutto molto veloce ed efficiente all’ospedale Sant’Anna di Como. Il dottore in fase di anamnesi mi infila la mano nelle costole e salto sulla lettiga. Prima 4, poi 2 costole rotte sono il risultato della TAC, anzi delle due TAC, di una radiografia totale e di un’ecografia generale.
Nel gran conto finale trovo: frattura composta della clavicola, due costole rotte e trauma cranico.
Torno a casa la mattina del giorno dopo con un tutore che mi blocca la spalla e che in teoria non dovrei mai togliere, una gamba che non riesco quasi ad appoggiare ma che non ha problemi strutturali e le costole indolenzite.
Leggo come ogni buon dottore improvvisato che cosa posso fare sull’internét. Una dottoressa indiana mi rincuora perché mi propone dei micro-movimenti per non lasciare il braccio completamente inoperoso. Sotto la voce collarbone c’è una videoteca sterminata di consigli e casi con cui intrattenersi e creare empatia. Così, dopo la prima settimana inizio a muovere l’articolazione senza mai alzare il braccio. Il polso, la mano e l’avambraccio non li tengo mai fermi. Alla terza settimana cambio fasciatura e ne metto una più comoda, che mi permette di esibirmi in barbeque di livello e di pucciarmi nel mare fino alle spalle. Affronto grandi camminate e lunghe passeggiate per non stare completamente fermo.
Alla visita di controllo dopo 21 giorni tutto bene. La clavicola si è calcificata o quantomeno il processo è avviato. Il pezzo di osso si è spostato e non è più in linea come era il giorno della frattura, scoprirò poi che è normale: ecco il perché della protuberanza che mi ritrovo sopra la spalla. Via il tutore. “Doc posso andare su Zwift?” “Vai sereno ma no strada fino a ottobre” “Posso salire anche sull’Alp du Zwift?” “Puoi anche fare un test FTP” “Va be’ mica sono scemo, quello no grazie…” “Vai da un bravo fisioterapista”.
Toio è il mio fisioterapista. Ci sentiamo e iniziamo le sedute. Movimenti, tens, esercizi, massaggi e incredibilmente mi ritrovo a chiudere la portiera senza pensare quale braccio usare, giro il volante sui tornanti di montagna senza esitare sulla scelta dell’arto, arrivo ad alzare la cler del garage come facevo solo un mese fa. Toio è il mio fisioterapista.
La cavalcata su Zwift è lenta ma costante. Pago la mia quota di iscrizione in anticipo rispetto ai tempi dettati dalle stagioni e mi ritrovo a macinare di nuovo chilometri. Con il braccio che nelle prime sedute si indolenzisce nella posizione, per poi acquisire sempre più forza e stabilità. Stento a pensare di uscire in strada ma sono pronto. Inizio ad andare in ufficio sulla MTB (che tra l’altro non ha un segno uno di quello che è successo, che sia rimasta appesa al ramo? Mistero…) e funziono.
Così dopo 6 settimane mi rimetto sui pedali per un giro tranquillo di una settantina di chilometri. Sembra di non essermi mai fermato, solo qualche titubanza in discesa sulle curve a sinistra. Chiedo extra-chilometri ma forse non è il caso, non ho fretta e poi sono passate solo 6 settimane, mi accontento di aggiungere una salita finale per indispettire Gio e raccogliere qualche insulto: è esattamente tutto come prima.
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