Se è vero che il grado di soddisfazione per una cosa o un evento dipende molto dalle aspettative, è bene dirlo subito: questa non è una gran fondo per come la intendiamo noi in Italia, sono cronometrati solo i tempi sui tre passi (non sulle discese e su quei pochi metri di pianura), le strade sono aperte al traffico senza alcun controllo particolare salvo il presidio degli incroci, non c’è proprio spirito agonistico e la partecipazione è tutt’altro che oceanica (un migliaio scarso di partecipanti, diviso su 3 percorsi). Insomma, una via di mezzo tra una gran fondo ed una randonnée, come ultimamente si usa molto all’estero (ad esempio alla – meravigliosa, anche per lo spirito – Parigi Nizza Challenge).
Personalmente, non ho peraltro sentito la minima mancanza del cronometraggio sulle discese (d’altra parte ci tenevo talmente tanto che preparando la bici sabato sera mi sono dimenticato di montare il chip) e l’apertura delle strade al traffico non mi ha creato particolari problemi, salvo un paio di incroci salendo al Furka (ma, realisticamente, possiamo pretendere che chiudano un passo alpino di grosso scorrimento per un migliaio scarso di ciclisti?).
In ogni caso, uomo avvisato, mezzo salvato: che piaccia o meno, l’organizzazione offre questo, e – quello che è poi quel che più conta – un paesaggio da cartolina su ogni singolo metro dei 113 km della gran fondo.
Si comincia dal San Gottardo per la meravigliosa strada in pavé della Val Tremola, sulla quale non c’è molto altro da dire se non che fatta in un serpentone silenzioso di ciclisti che si snoda su per i tornanti, con il solo rumore delle bici che rompe il silenzio della montagna, è ancora più bella.
L’inizio, insomma, è da urlo; peccato solo che ci sia un freddo cane, con delle nuvolacce nere all’altezza del passo, un vento che ti porta via e le previsioni che dicono che nel pomeriggio peggiora… non certo le condizioni in cui uno pedala allegramente su e giù per passi oltre i 2.000 mt.
La salita passa quindi con il pensiero fisso “se sul passo ci sono meno di x gradi torno giù e faccio il corto”, “se ce ne sono meno di Y …”, “se piove, idem”, se c’è vento, se nevica (tutto ovviamente senza congiuntivi, che in bici in salita non si usano) … etc. e nel tentativo disperato di digerire la colazione buttata giù alle 5.30 mentre correvo per casa alla ricerca delle ultime cose da mettere in borsa e rimasta definitivamente sullo stomaco appena sceso dalla macchina con 8-9 gradi.
In cima al passo ci sono 7 gradi, che detto così potrebbe sembrare un numero come un altro, ma che se ci stai a pensare è la temperatura che di solito c’è a casa a febbraio, quando si esce in tuta invernale e si fanno giri senza salita per non prendere freddo; una temperatura che razionalmente dovrebbe farti tornare indietro e che allo stesso tempo ti fa sentire una merda di fronte ai tedeschi che si buttano in discesa senza mantellina. Va a finire che, al pensiero che sarebbe stupido sprecare la giornata di libertà dalla famiglia per fare solo 40 km, prendo la via per il lungo continuando a rimuginare sui miei dubbi e rallentando almeno 3-4 volte per preparare l’inversione, ma senza farlo fino alla fine della discesa.
Qui rimane freddo uguale, ma ormai la risalita sarebbe troppo lunga per prenderla in considerazione ed il paesaggio tutto prati verdi e casette in pietra da cartolina Svizzera riconcilia con il pensiero della risalita al secondo passo, il Furka, anche se le nuvole nere sono sempre li, dietro e davanti, a nascondere il passo e le cime tutto attorno. Del Furka purtroppo vediamo poco, se non la strada che si arrampica sul crinale della montagna dove uno non si aspetterebbe di trovare una strada; è un vero peccato, ma forse anche un vantaggio, perchè quando si raggiunge la quota della nebbia e ci si trova in mezzo alle nuvole tutto prende quel fascino sul genere “Venezia con la nebbia è ancora più bella” che – finchè non piove – potrebbe essere anche più bello.
Che lo si preferisca con il sole o con la nebbia, passato il Furka c’è la discesona con il celeberrimo Hotel Belvedere – onnipresente su ogni social per ciclisti o motociclisti, cosa che non è evidentemente servita a molto visto che è chiuso da anni – e quello che fu il ghiaccio del Rodano, ormai ritiratosi troppo perchè lo si possa vedere pedalando.
Poi, non rimane che la famigerata Novena, la più ripida e la meno bella delle tre, che in effetti ha tutto quello che una salita può avere per scoraggiare un ciclista. A 9 km dalla vetta, dopo 3-4 km di salita dura, si arriva in una conca da cui si vede la strada che sale con rettilinei infiniti che anche a 5 km di distanza lo vedi che hanno pendenze in doppia cifra, con i ciclisti scomposti in bici salendo a velocità da formichine, vedi la vetta proprio lontana (un po’ come lo Stelvio da Trafoi quando arrivi ai meno 9, ma senza la sensazione rassicurante che ti danno i tornanti dello Stelvio) e, soprattutto, che più ti avvicini alla vetta più ti sembra lontana.
Nel mio caso, con una gamba figlia del mix tra notte insonne, sveglia alle 5, jet lag da 25 gradi di sbalzo in 12 ore e colazione sullo stomaco, c’è poco da fare se non mettere il minimo – minimo rapporto, minima cadenza, minime pulsazioni, minima potenza e minima velocità – e pensare che inesorabilmente “prima o poi tutto questo sarà finito”. Anche tutta la tecnologia che mi aveva aiutato all’Etape du Tour sulla Novena diventa un boomerang, se qui salgo piano non è perchè è ripido, ma perchè non arrivo neanche a 200 watt … questa volta la verità fa male e fa effetto depressione!
Non una crisi, per la verità, ma semplicemente la scelta – consapevole o inconsapevole non lo so – di alzare bandiera bianca prima che arrivi la crisi, per evitare guai ben peggiori.
E, in effetti, sventolando la mia bandiera bianca, come diceva il mantra che mi è girato in testa per tutta la salita a un certo punto anche la Novena è finita davvero, lasciandomi da fare (finalmente in scioltezza) solo i 30 km di discesa fino al “sedime dell’ex avioporto di Ambrì” (???!!!).
Insomma, gran bel giro, da fare e rifare (magari guardando bene le previsioni del tempo), alla Gf del San Gottardo o – se uno preferisse risparmiare una cinquantina di euro – organizzandosi con gli amici. A condizione che si sia preparati alla Novena.
Qui il link all’attività su Strava e qui il relive.
Note pratiche: 3 percorsi, il lungo sono 113 km e 3.200 mt. D+; circa 1.000 partecipanti, divisi sui 3 percorsi.
Per questa Gran fondo ho usato: bici Hersh Speedrace, montata con Campagnolo Record, ruote Campagnolo Bora One 35, copertoncini Pirelli Pzero e pedali/powermeter Assioma di Favero Electrics
Abbigliamento BKLK by Dotout (in vendita qui), calze The Wonderful Socks, casco POC.
[…] du Tour (200 km sugli asfalti granulosi francesi) senza problemi, poi ho fatto la GF del San Gottardo con i 13 km di pavè della Val Tremola, la Haute Route Dolomiti e soprattutto 360 […]