“E’ un mese che non pedalo e sono quasi 7 ore di macchina, tu hai voglia di andare?”
“Non ne sono sicuro, aggiorniamoci settimana prossima”

Partiamo sabato mattina in direzione Vaison La Romaine non troppo convinti di aver fatto la giusta scelta per il weekend più caldo dell’anno, con massime previste a 39° e una pietraia da scalare, luogo nell’immaginario del caldo più atroce, dove Simpson morì di fatica e Pantani scrisse l’ultima pagina epica della sua carriera, battendo Amstrong e la sua antipatia.

Il viaggio è lungo, tanto, forse troppo per affrontare una granfondo. Sei ore e mezza al volante, 1.200 chilometri e 300 € nette tra benzina, pedaggi e trafori.

Arriviamo al villaggio alle 14, dopo aver goduto per la prima volta dei benefici del roaming europeo libero, nota di rilievo rispetto al tempo guadagnato dalle segnalazioni sul traffico di google map.

Ci accolgono 35 gradi irrespirabili ed una piazza interamente dedicata al villaggio della GF, in un paese che vive il weekend dedicandosi anima e corpo all’evento. Sono preoccupato, il corpo reagisce male anche ad un gelato mangiato all’ombra. Fa troppo caldo per fare qualsiasi cosa diversa dal dormire in albergo con l’aria condizionata a martello.

Salutiamo rapidamente Nicolas, organizzatore impeccabile che non disturbiamo oltre, impegnato nell’inevitabile casino del giorno prima.

Cena da italiani medi alla ricerca di carboidrati “Non mi rovino la domenica con un piatto di escargot”, e ci addormentiamo con in bocca il sapore della solita pessima mozzarella mangiata all’estero.

All’1 di notte la sorpresa ed il piacevole risveglio con un violentissimo temporale che abbatte le temperatura e ci lascia riaddormentare con la serenità di un risveglio con aria frizzante.

Andiamo in griglia con il Garmin che dice 19 (gradi), 2.200 (metri di dislivello) da affrontare per me e oltre 3.000 per Max, che nonostante le raccomandazioni della sua compagna (“fai il corto che fa caldo e non hai 20 anni”) si cimenterà sul lungo e sul “vero” Mont Ventoux.

L’organizzazione ci ha regalato l’onore della partenza dalla prima griglia, io con il 18  e Max con il 19, e nei 20 minuti che ci separano dallo start veniamo presi da un’incomprensibile stupidera che ci porta a ripetere in continuazione, a voce alta, i pochi termini francesi che conosciamo, tra lo sguardo basito di chi ci sente. Tres bien, alesi: sono le 7:30.

La scelta dell’organizzazione di obbligare i partecipanti ad indossare la maglia dell’evento ha come effetto positivo il colpo d’occhio della macchia verde, bellissimo, ma come spiacevole conseguenza la non riconoscibilità del compagno con cui si vorrebbe pedalare, perlomeno fino al bivio al 50 km che si separerà inevitabilmente. Succede che al km 0, mentre come al solito litigo con il mio Garmin sul quale non riesco a far funzionare il group track, Max mi supera senza che io me ne accorga e lo perdo per sempre, convinto che sia dietro di me e andando ancora più piano di quanto già faccia per aspettarlo. Ci rivedremo in Albergo, quando mi sveglierà durante la pennichella post pasta party/birra che ormai fa parte del rituale.  Sarebbe stato utile avere una funzione tipo il group track, appunto.

Con un salita iconica come il Mont Ventoux da affrontare come ascesa finale, i chilometri che la precedono vengono immaginati e vissuti come un riscaldamento ed un inutile introduzione all’obiettivo di giornata.

La realtà è invece quella di un percorso stupendo con 2 salite pedalabili ma vere, che fanno mettere insieme poco meno di 1.000 metri di dislivello prima di attaccare il Mont Ventoux al 52esimo chilometro.

Le due ore di “riscaldamento” diventano un piacevole preludio tra campi di lavanda e saliscendi senza strappi spaccagambe, con la vista della cima coppi di giornata sempre presente in lontanaza a ricordare di non disperdere energie inutili.

Il rimpianto è di arrivare a questo appuntamento dopo un mese abbondante di stop forzato nel momento migliore della stagione, ma il percorso corto si rivela un’onorevole alternativa alla portata di tutti, con dei numeri comunque importanti negli oltre 2.000 di dislivello e nei 105 km che si mettono insieme sommando il rientro a Vaison a cronometro spento.

L’attacco del Mont Ventoux è talmente morbido da non farsi neanche riconoscere come tale, e i primi chilometri confermano quella che sarà la media di tutti i 26 km di salita, oscillando tra il 3 ed il 6% e permettendo di decidere la frequenza cardiaca da tenere per le 2 ore di salita che comunque ci aspettano.

Imposto il “cruise control” ai 152 bpm che la mia forma attuale mi permette di tenere sulle 2 ore della salita, 34-19/21 a seconda che si vada più sul 4% o sul 6% e faccio l’elastico con i 7/8 concorrenti che hanno il mio ritmo a fasi alterne. Tra questi pedalo per la maggior parte del tempo con Laura, ragazza di Torino, che andrà a vincere nella sua classifica di categoria.

L’atmosfera, rilassata e non competitiva fin dall’inizio, è ancora più distesa sul “baby” Mont Ventoux, dove nessuno ha velleità competitive e c’è il tempo per scambiare chiacchiere.

Non mi fermo a nessun ristoro e apprezzo particolarmente quelli volanti, dove arriviamo talmente scaglionati da lasciare il tempo ai volontari di chiederci se vogliamo gel o barretta, concedendoci l’esperienza “Be a pro for a day” di prendere il gel al volo.

La serenità del pedalare nell’ombra del bosco comincia a farsi preoccupazione quando lo spauracchio degli ultimi 7 km nella pietraia, che andremo a condividere con chi ha scelto il percorso lungo, cominciano ad avvicinarsi.

Il ristoro che precede la vera difficoltà di giornata diventa una sosta obbligatoria: bicchiere di coca e rutto libero, qualche arancia, l’ultimo gel e la borraccia finita riempita di acqua pronta per essere rovesciata in testa. Rien va plus, alesi!

Prendo i primi 3 km con tutta la calma del mondo, sollevato dai paracarri fissi che indicano la pendenza del chilometro successivo, che non risulta mai essere oltre il 7%. In cima il pennone mitologico del Mont Ventoux è il bersaglio da centrare.

Pedalo talmente piano da essere superato dalla qualunque. Un ragazzo con una Bianchi che fu di Coppi e i bermuda scozzesi. Due francesi che non si sono presi neanche la briga di togliere il parafango dalla bici da corsa. Non si contano le donne oversize a pedalata assistita che mi sgambettano di fianco con una cadenza alla Froome,  l’aria di chi vorrebbe accendere una Marlboro e la sufficienza di chi ostenta la disinvoltura della fatica che non sta facendo.

Putaine: spero vi finisca la batteria nel punto all’11%, quando il sole vi picchierà in testa e il termometro segnerà 35°. Spero anche che in quel momento il Ventoux soffi forte, contrario. Spero che a sgambettarvi di fianco in quel momento sia un cerbiatto colombiano che sta tentando il PR e colcazzo che si ferma a darvi una mano.

Cerco di fare dei conti improbabili tra la quota a cui sono, la quota di arrivo prevista, il dislivello già scalato ed i km mi mancano. Conti che non tornano perché l’oste dice che gli ultimi 3 km saranno rispettivamente al 9, 10 e 11 percento.

Di questi ultimi km ricordo la velocità talmente bassa da non permettermi di tenere la ruota davanti dritta, il 34-29 spinto la cadenza del 50-11, il tentativo disperato di tenere il cuore sotto i 160 battiti per non andare oltre con una fatica che non voglio fare. Ricordo il tentativo disperato di svuotare le due borracce che ho piene e comunque sono 1 chilo e mezzo. Ricordo lo stalking dei fotografi non ufficiali che mi fanno foto ogni 50 metri per poi porgermi il biglietto da visita. Quesque c’est? Rien va plus! Ricordo nella mia testa il gioco di pensare a termini francesi a caso. Aujour d’ui? Camamber!

Ricordo bene gli ultimi 200 metri, una signora attempata che en francais usa il vecchio trucco di promettermi un harem in vetta, la versione francese del romagnolo “c’è figa in cima”. Ricordo l’ultimo tornante con tanta gente come se fossi “A pro for a day”.

Ricordo il tornante tagliato all’interno nel punto al 20%, in piedi sui pedali, en danzeous per dirla come i mangiarane, unicamente per farmi fare una foto epica che ovviamente non mi scatteranno.

Ricordo molto bene gli ultimissimi 50 metri, sotto il pennone. Come al solito mi lascio sfilare perché mi piace arrivare da solo, la pendenza aumenta e taglio il traguardo, lasciando che il cuore salga oltre la soglia per dare senso di dinamicità alla foto che non mi stanno scattando mentre esulto con il pugno stretto.

Abbraccio la matrona che mi mette la medaglia al collo, saluto Laura di Torino che ancora non so stia galleggiando 3 metri sopra il Mont Ventoux, con al collo l’oro della vincitrice, bevo qualcosa e mi butto nel negozio di souvenir per lasciare ai posteri il magnete e il paracarro a ricordare l’impresa.

La peculiarità di questa e di altri eventi eventi francesi come l’etape du tour è quella di avere l’arrivo in salita e lasciare la libertà di rientrare con “mezzi propri”, scelta intelligente per evitare problemi di traffico, sicurezza, e inutili tentativi di rimonta in discesa.

Mi godo la picchiata infinita, tra curvoni, asfalto perfetto e traffico nullo.

Un supplizio invece il fondovalle da solo, controvento, con la temperatura che inizia a salire e le energie che ormai è da un po’ che sono finite. La situazione non sarebbe stata migliore se fosse stata in “gara”.

Il villaggio e la sua piazza è ormai tutto verde come la maglia dell’evento, con i partecipanti sparsi per tutti i bar, con il buono dato dall’organizzazione per pranzare gratuitamente: idea geniale per tutti ed economicamente conveniente anche per i ristoratori, che comunque avranno pagate le due birre che mi merito.

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La sorpresa del giorno dopo è quella di essere arrivato 170esimo sui circa 800 che hanno scelto di soffrire meno. Credo il mio miglior piazzamento di sempre come posizione assoluta, andando più piano che mai. Ennesima dimostrazione dello spirito turistico dei partecipanti.

Spiace ammetterlo, ma lo spirito alla francese ci piace molto di più di quello italiano: le jeux son fait!

www.gfnymontventoux.com

 

 

Posted by Gio

Terzino sinistro per indole, ciclista per esigenze di salute, comincia a pedalare dopo aver sfondato la soglia dei 100 kg. Si appassiona alla bici e tenta di dimagrire per andare meno piano in salita. Ossessionato dalla tecnologia scopre Strava, dal quale sta tentando di disintossicarsi. Pedala sua una BMC RoadMachine con Campy Record EPS Disc e Bora.

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