E’ l’ultima granfondo dell’anno e parte sotto casa. A esattamente metri mille da casa tua. L’ingresso in griglia di partenza è esattamente a metri zerovirgolacinque (misurati!) da dove ti trovi abitualmente a bere il caffè prima di partire nel tuo solito giro del sabato (non faccio il nome del Caffè Monti per non fare pubblicità gratuita). Metti che quest’anno, tanto per cambiare, hai già fatto abbastanza fatica su Izoard e Ventoux, che ad ottobre ormai la stagione è finita, e che se alla granfondo non ci abbini il weekend non sembra neanche una granfondo. Aggiungi che il giorno prima partecipi ad una Ride Passoni con un gruppo di Danesi sulla Como-Menaggio e la giusta aria di svago e relax la fa talmente da padrone che quasi ti dimentichi di andare a ritirare il pacco gara. SDAM ti dice che ci sono problemi con  il chip che non risulta attivo e non ti degni neanche di verificare, tanto con il numero sul manubrio le foto arriveranno lo stesso, e i tempi sulle salite li vedrai su Strava.

Aggiungici che tutti i riti della sera prima, fatti nel salotto di casa tua hanno una sapore completamente diverso. Non appoggiare la maglia con il numero sui mobili di formica di qualche pessimo albergo ligure per l’apertura di stagione al Laigueglia, non riempire le borracce nei bagni dell’Ibis a Nizza. Non contare i gel alla periferia di Roubaix.

Senza liste da spuntare per verificare che ci sia tutto, finisce che affronti l’evento un pò ciuoto, e finisce che te ne accorgi al chilometro 15.

Finito il rettilineo di Albavilla a buoni settanta all’ora, alla rotonda del Serratore senti la ruota dietro che scondinzola come fossi in MotoGP. Asfalto di merda, speri. Abbassi la testa. Non è colpa dell’asfalto. Tenti di arrivare alla prima assistenza meccanica in qualche modo, ma quando al secondo avvallamento senti il contatto tra le Bora e l’asfalto accosti, sconsolato.

Sai che perderai tutti i gruppi e te la farai da solo: giornata andata a puttane.

Tolgo il copertone, apro la finta borraccia per prendere la camera d’aria. Cazzo. L’ultima volta che ho bucato mi sono dimenticato di rimetterla dentro: non ho la camera d’aria.

Sono più sconsolato che incazzato.

Nel gruppo che sopraggiunge c’è il mitico Salvatore, con il quale ho corso la Roubiax, che gentilmente si ferma, mi da la sua camera, e riparte subito.

Con le mani gelate ci metto più del dovuto ad effettuare l’operazione di cambio, butto dentro la bomboletta d’aria. BEHM: esplosa. Non ci posso credere! Passano 2 minuti e arriva un altro ciclista, ha rotto la guarnitura. Come un avvoltoio mi avvento sulla sua camera d’aria di scorta che gentilmente mi cede…è il mio giorno fortunato.

Rimonto la camera, ho la seconda ed ultima bomboletta, che sto per scaricare nella camera, quando si ferma il carroscopa che commenta “O la va o la spacca”. La seconda. Non ci posso credere.

Sono le 8 del mattino, in corto e con i manicotti fa freddo. Sono di fronte all’Elmepe, nel punto peggiore di un percorso stupendo. Sono ancora un pò assonato e non valuto le cause/conseguenze delle mie azioni.

Salgo stupidamente sul carroscopa, pensando che alla prima assitenza meccanica sistemerò il problema e farò comunque la parte più bella del percorso.

Signori e signori, RCS ha appena organizzato la prima Granfondo di sempre che NON prevede punti di assistenza meccanica. GIURO!

Da qui comincia la mia giornata infinita: 5 ore e 30 minuti su un Ducato, che prima raccoglie un inglese che ha rotto la sella e poi sarà più intelligente di me, tornando a casa in treno da Asso. Poi un’altro inglese, imbestialito perchè Rapha Travel si è persa un pezzo e non gli ha procurato la bici, e  su quella di fortuna che ha trovato gli si è rotta la catena.

La lentezza del carroscopa è qualcosa di più dell’esasperante, è qualcosa di impossibile da credere se non la si prova. Stare dietro al più lento dei ciclisti vuol dire andare in pianura a 18 all’ora. In salita ad una velocità che non è prevista nelle unità di misura. Vi ho odiati, ciclisti di merda, che rallentate la mia voglia di tornare a casa. Ma soprattutto ho odiato te, David Blundell, con il tuo numero 710 che è stato come un ossessione per tutto il giorno; quel 710, incollato su quello zainetto che guardavo ignaro del diabolico contenuto.

Ti ho odiato, quando sei sceso dalla bici, all’attacco del muro, regalandomi il sogno del tuo ritiro, che ci avrebbe liberato dall’incubo. La sognavo già, la tua bici inglese nel retro del carroscopa ed il Ducato che ci trasportava finalmente libero di scaricare i suoi cavalli su quella striscia di bitume, liberando nell’aria quelle particelle sottili che avrei respirato a pieni polmoni. E poi quegli attimi nei quali ho capito che qualcosa non andava, con il senzacatena che ti parla fitto e tenta di convincerti. Tu, maledetto David, che apri lo zaino, e ne togli il contenuto diabolico. Avrei preferito vederne uscire del tritolo ed invece quanto le ho odiate quelle Stan Smith, che ti sei messo ai piedi per affrontare con la premeditazione che diventa aggravante i 1.900 metri che non erano alla tua portata, maledetto.

Ti abbiamo dovuto aspettare in cima, e ti ho odiato come quando a Londra ogni volta che  attraverso la strada odio la vostra ostentata voglia di essere diversi.

L’agonia finale viene attenuata da un colombiano che si schianta sulla discesa della Nesso e il nostro carroscopa che accellera per recuperarlo e portarlo a Como, lasciando al malcapitato dell’assistenza Selleitalia il compito di aspettare il maledetto David.

La giornata si conclude con i metri mille di cui sopra da fare a piedi, con la bici a spinta e le scarpe che si consumano sull’asfalto.

Posted by Gio

Terzino sinistro per indole, ciclista per esigenze di salute, comincia a pedalare dopo aver sfondato la soglia dei 100 kg. Si appassiona alla bici e tenta di dimagrire per andare meno piano in salita. Ossessionato dalla tecnologia scopre Strava, dal quale sta tentando di disintossicarsi. Pedala sua una BMC RoadMachine con Campy Record EPS Disc e Bora.

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