Il Red Hook Criterium è un circuito di 4 gare (Brooklyn, Milano, Barcellona e Londra) in notturna, su circuiti cittadini ricavati in aeree post industriali, aperto a tutti i ciclisti con bici da pista (scatto fisso e niente freni).
La prima edizione si è tenuta nel 2008 a Red Hook, un sobborgo di Brooklyn, per festeggiare con una sfida tra una quindicina di amici, su strade aperte al traffico, il 25mo compleanno di tal David Trimble; benchè il buon David non sia andato oltre il secondo posto neppure nel giorno del suo compleanno, per di più battuto da una donna, l’atmosfera della gara e del birra party post gara gli è piaciuta quanto basta per replicarla l’anno successivo.
Con il solo passa parola, al suo 26mo compleanno si soon presentati una cinquantina di ciclisti, il pubblico si è moltiplicato, sono comparsi alcuni fotografi e il New York times ha fatto un articolo intitolato addirittura “A Brooklyn Bike Race Worthy of James Dean”; anche nel 2009 il buon David si è però dovuto accontentare del secondo posto, ma almeno questa volta volta non è stato battuto da una donna.
Nel 2010 sono arrivati i primi sponsor (Cinelli, Rapha e altri), l’evento è cresciuto ancora, il circuito di gara è stato chiuso al traffico e si è aggiunta Milano; negli anni successivi il pubblico ha continuato a crescere (oggi si parla di più di 10.000 spettatori a Brooklyn), gli sponsor sono cresciuti ancora e (leggasi $$$$) il livello dei partecipanti è cresciuto tanto da attirare anche professionisti dalle corse su strada, si è aggiunta Barcellona nel 2013, poi Londra nel 2015.
A Milano, il Criterium si corre su un circuito di 1,27 km attorno alla sede del Politecnico della Bovisa, una zona che normalmente è meglio evitare dopo le 7 di sera; il giorno del Red Hook, invece, con buona pace degli spacciatori locali la Bovisa è invasa da camper, ciclisti da tutto il mondo che campeggiano tra una prova e l’altra in un’atmosfera molto più simile a Woodstock che a un evento sportivo, look e divise che ricordano il mondo pony express newyorchese da cui tutto è partito, bici creative di marche sconosciute (tranne l’onnipresente Specialized, un paio di Look e alcune Cinelli), qualche bancarella di sponsor (ma, incredibilmente, pochissimo merchandising), musica a palla, street food, birra a fiumi, pubblico a bordo strada o arrampicato sui muri, tifo da stadio, ma allo stesso tempo goliardico e con quel rispetto per la fatica degli atleti che si trova solo nel ciclismo.
Sembra una sbevazzata radical chic, eppure l’aspetto sportivo è di altissimo livello.
La gara è aperta a tutti, ma decisamente non per tutti: 300 partecipanti, scremati da due turni di qualifiche in base ai migliori tempi sul giro per selezionare i 96 finalisti; per qualificarsi alla finale era necessario fare 1′ 35″ sul giro, che vuol dire girare a 48 km/h su un circuito di 1,27 km, con 6 curve a gomito ed un rettilineo più lungo che non superava i 300 mt. … decisamente non per tutti, ci vogliono gambe, una tecnica notevole in curva e del gran coraggio (un paio di clavicole sono purtroppo rimaste sull’asfalto).
Poi la gara, su 25 giri (20 per le donne), il che significa che il pubblico vede passare i corridori ogni minuto e mezzo (anche meno se consideriamo le fughe e lo sfilacciamento del gruppo in fila indiana), a sua scelta lanciati oltre i 50 km/h sul rettilineo o in piega da motoGP in curva.
Velocità, acrobazie, cadute, stile e birra … il divertimento è assicurato; secondo alcuni, questo è il futuro del ciclismo.
Ricordo però che nella bibbia del buon ciclista era scritto che il perimetro della Piazzza d’Armi, dover ora sorge la Fiera Campionaria, “era delimitato da una strada sui tre lati passabile, sul quarto lato simile a una pista sahariana. Su codesto tracciato si correvano i tramagli della primissima storia ciclistica: e li organizzava, precursore indubitabile degli attuali Enti di Turismo, tale distinto sig. Granida. Un tipaccio zingaro, con basette alla brigantesca, due occhi neri da siciliano, una stinta maglietta rossa sul torso peloso, un grembiule già stato bianco sul ventre, e una bancarella con il cocco fresco, i gelati al cono e le ghiacciate al tamarindo, che appunto diedero il nome all’autore.
Granida non aveva ambizioni, ma si molte idee pratiche. E intuito, e senso del mestiere. Scarsi i proventi quando venivano fanti e artiglieri per l’ordine chiuso, discreti invece quando, ritirate le truppe il pomeriggio, la piazza d’armi si apriva allo sgambare alacre dei marciatori e dei podisti, considerevoli addirittura se lo sport francescano faceva luogo alle tumultuose volate dei ciclisti. Allora la gente si fermava al traguardo, prendeva partito, eleggeva i suoi idoli, discuteva, si accalorava, immancabilmente, a gola arsa chiedeva poi da bere al Granida.
Il quale un giorno, resosi conto dell’affare, ebbe questa pregevole pensata: chiamò i velocipedastri in assemblea, offrì loro acqua e anice per dissetarli, indisse una corsa di dieci giri con due premi: cinque lire al primo arrivato, tre al secondo. La proposta venne accolta con molto entusiasmo, inaugurando essa praticamente l’era professionistica del ciclismo su strada” (da Addio Bicicletta, di Gianni Brera) … era il 1901 !
Se fosse il futuro del ciclismo, sarebbe molto simile al suo passato; e se lo fosse davvero, speriamo che il ciclismo martoriato dagli scandali degli ultimi 20 anni rinasca dov’era nato ormai 115 anni fa, ma senza fare gli stessi errori fatti nella sua prima vita.
A proposito, test antidoping per i primi tre classificati.
[…] 8.9 – gara di fixie (bici a scatto fisso) davanti al Vigorelli, organizzata in collaborazione con il Red Hook Criterium; […]