Partire o restare, restare o partire …
È iniziata così quest’anno la mia terza Granfondo Santini.
Venerdì sera ancora l’ennesimo sguardo al meteo, sperando di trovarvi un miracolo, dopo una settimana di tentativi. Guardo e mi accorgo che di miglioramenti non ce ne sono. Anzi. Prevista neve sullo Stelvio e pioggia da noi. “Ottimo”, penso con un filo di sarcasmo e la rabbia nel cuore.
Contatto i miei compagni di gara, nonché i miei zii, i quali decidono di mollare. Come biasimarli .. del resto stavo per rinunciare anch’io. Chiamo il mio collega Federico e Davide, i quali insistono e mi sollecitano a partire convincendomi che non saró sola e che la gara la faró con loro.
Non conosco bene il modo di pedalare né di Federico né tantomeno quello di Davide, cosi da non riuscire ad immaginare la mia GF in loro compagnia.
Ciononostante sabato mattina mi sveglio e con l’acquazzone sopra Como e la pioggia battente sui vetri della mia camera decido di caricare lo stesso la mia Canyon in macchina e di partire. Direzione Bormio.
L’arrivo a Bormio non mi tranquillizza piú di tanto; il cielo davanti ai miei occhi si presenta sempre più grigio e carico di nuvole.
Mi dirigo con un po’ di timore al palazzetto del ghiaccio a ritirare il pacco gara, ma appena entrata l’atmosfera, la musica e la folla di ciclisti, mi stimolano a ritrovare quella carica che mesi fa mi aveva portato a iscrivermi.
Uno sguardo agli stand, quattro chiacchiere con la famiglia Santini dopodiché mi dirigo a raggiungere i colleghi per un debriefing serale. Davanti a un paio di birre stabiliamo gli orari di ritrovo per la partenza, come poterci raggiungere durante il percorso seppur partendo da griglie differenti. A serata finita con l’ansia nel cuore saluto il gruppo e mi dirigo in albergo.
Prima di coricarmi a letto, sistemo i vestiti e preparo la mia Canyon, fedele compagna di pedalate. Dopodiché punto la sveglia alle 5.15 e pensando all’orario e al freddo che ci sarà l’indomani ad accogliermi, mi fa riflettere su quanto si possa arrivare ad amare uno sport.
Mi infilo sotto le coperte e sarà l’agitazione, sarà il letto diverso e l’aria gelida che circola nella stanza che dormo malamente. Guardo ancora il meteo, le temperature e decido di cambiare idea sulla scelta del vestiario. Indosserò i calzoncini De Rosa Santini, curiosa di testare su un percorso lungo il nuovo fondello C3 e opterò per la giacca Beta in windstopper che Santini consiglia come capo mezza stagione, per un range di temperatura tra i 5 e i 15 gradi. Il tutto si rivelerà un’ottima scelta. La giacca essendo un capo molto versatile, con sotto la maglia intima Car5.0 e sopra il giubbino anti-vento Velo Santini, non avrò nessun problema.
Alle 6.15 inizio a pedalare dirigendomi alle griglie di partenza, consegnando prima la sacca con la tenuta invernale all’organizzazione che mi verrà riconsegnata all’arrivo. Dopodiché mi dirigo in griglia rossa ad aspettare il via. Si parte in ritardo. La polizia non è ancora arrivata sul percorso. Poco male, questi minuti di attesa mi serviranno per prendere confidenza con le emozioni.
Trovo in griglia il mio collega Federico. Fantastico! Penso. Mi dice di volerla fare insieme a me e pur sapendo che le sue condizioni fisiche sono di tutt’altro livello rispetto alle mie, averlo incontrato mi rassicura.
Dopo qualche istante si parte. I corridori sono tutti agguerriti, sfrecciano a destra e a sinistra a velocità rallentata dalla safety car che per il primo tratto controllerà la velocità del gruppo. Sento nel mentre qualcuno chiamarmi. È Max! Finalmente realizzo di non essere poi così sola. Peccato che dopo qualche chilometro perdo sia lui che Federico. Frenata dalla paura di non farcela non riesco a tenere la loro ruota. Conscia della strada che dovrò affrontare essendo la mia terza Stelvio Santini, non voglio spingere troppo, le mie gambe temono di non potercela fare. Lascio scorrere via Fede e Max e cerco di vivere la mia gara ascoltando il mio passo e il cuore, consapevole che non sarò sola. Ci sono 3000 persone sul percorso, troverò tra queste sostegno, sicurezza e qualche ruota da seguire.
Si scende a Tirano a velocità sostenuta, non la solita che tengo nelle mie uscite solitarie, fino ad arrivare ai piedi della bellissima e dura salita di Teglio Boalzo, dove circa 6 km di aspra salita di cui tre al 10% e alcuni tratti al 16% e piú freneranno diverse ruote creando cosi un ingorgo che mi costringerà a dovere scendere dalla bicicletta per qualche tratto. Arrivo al ristoro in cima alla salita, mi fermo, mangio una gustosa crostata servita dalle gentili volontarie e un po’ di frutta fresca, dopodiché riparto pensando che nonostante la fatica, questa salita è davvero fantastica, nel cuore di Teglio, patria dei gustosi e tanto apprezzati Pizzoccheri, in mezzo a vigneti e vecchie case contadine. Impossibile non pedalare con il naso all’insu e gustarsi il paesaggio. Anche la gentilezza degli abitanti che ci accolgono con entusiasmo è davvero incoraggiante.
Torno in sella, decisa e con la carica giusta per proseguire in solitaria la mia corsa. Cerco qualche ruota che vada al mio passo, ma con scarsi risultati. O troppo veloci, o troppo lenti. Sarà così la mia strada fino al rientro a Bormio. La carica non la troverò tanto nelle ruote e nei ciclisti accanto, quanto nei passanti e in tutte quelle persone che con campanacci, applausi e urla fanno il tifo anche per me.
Siamo quasi a 115 chilometri quando mi ritrovo con un bel gruppo di nuovo a Bormio. La temperatura sembra essere più calda e un raggio di sole illumina la città.
Mi fermo all’ultimo ristoro prima di affrontare la lunga e dura salita. Noto un wc chimico sullo sfondo come se fosse un’apparizione. Per noi donne in gara è davvero difficile potersi fermare lungo il percorso. Uscendo dal bagno un ragazzo dell’organizzazione mi blocca chiedendomi di potermi fare un paio di foto e un’intervista. Accetto e mi fermo. Nel mentre un signore, che probabilmente seguiva la mia ruota, mi urla che se vado piano lo Stelvio lo possiamo fare assieme. Ma la mia lunga pausa si dilunga tra l’intervista, un panino con bresaola e una crostata di troppo, così non mi aspetta e se ne va. Tanto non ho più paura, penso. Lo Stelvio lo affronterò al mio passo e da “sola”.
A intervista terminata, lascio il ristoro alle spalle e parto. Dopo pochi metri realizzo che il Re Stelvio è li di fronte a me e sta iniziando.
Riconosco quei tratti di asfalto. Alzo lo sguardo e leggo il cartello: Tornante 36. Trentasei. Sono più dei miei anni. È un numero che sa di infinito.
Pedalo e mentre mi “arrampico” sulla salita sento la temperatura scendere e il dislivello salire.
Un timido sole si nasconde dietro le nuvole e la neve si fa sempre piú spazio sul panorama.
Il tutto mi rompe il fiato lasciandomi senza parole. Mi guardo attorno e penso che è incredibile. Per la terza volta io, la mia testardaggine e questa bellissima e interminabile salita siamo ancora qui, insieme.
Spingo a fatica l’energia sui pedali. A volte mi alzo aggrappandomi al manubrio, cercando di caricarmi sballottandomi a destra e a sinistra come se stessi danzando. Cerco un ritmo e un’armonia sostenibili, ma con scarsi risultati.
Mi guardo in giro e tra un tornante e l’altro rivedo Max. Lo vedo fermarsi e guardarsi attorno. Gli chiedo se tutto è ok e immagino quello che sta provando. Non mi fermo. Sono rimasta senz’acqua e devo assolutamente proseguire. A metà Stelvio troverò l’ultimo ristoro per riempire la borraccia e il corpo di sali. Ne ho bisogno.
Mentre salgo la testa e il cuore li sento interagire e sostenermi. Le gambe procedono e spingono grazie a loro. È la forza che serve quando si è in bici. Una continua collaborazione tra testa cuore e gambe. Su lunghi e faticosi percorsi è la testa che spinge, incitata dal cuore che vuole arrivare.
L’ultimo tratto di salita si rivelerà il più duro ed interminabile.
Agli ultimi 2 km affianco un corridore con la divisa della mia stessa squadra, cosi decido di terminare l’ultimo tratto insieme a lui. Lo incitavo e mentre davo forza a lui mi caricavo. “Forza!” Gli dicevo. “Dai che siamo arrivati, manca poco!” È stato incredibile! E davanti al cartello che segnalava l’ultimo chilometro non ce l’ho fatta a trattenere le lacrime. Lacrime di gioia, fatica e amore.
La voglia di partecipare e di arrivare in cima quest’anno è stata più grande e forte delle mie condizioni fisiche. Non mi sentivo pronta di affrontare un percorso di gara cosí lungo. Le mie uscite settimanali spesso in solitaria, con chilometraggi ben piú brevi e con dislivelli minori, non mi hanno agevolato una pedalata interminabile come questa. Non avere poi la presenza dei miei zii accanto e il sostegno della ruota di mio zio davanti alla mia, è stato ancora piú difficile.
Una cosa che il ciclismo mi sta insegnando ed ho allenato durante le mie uscite, è quella di non mollare e di trovare la grinta anche quando penso di non averne. Perché è proprio grazie alla fatica che solitamente porti a casa una grande soddisfazione.
Grazie Stelvio Santini per le emozioni, la gioia e il piacevole risultato di avercela fatta.
Bellissimo racconto ed eroica impresa resa ancor più tale dalle condizioni meteo avverse. Donna stoica. I miei infiniti complimenti! M.
[…] di una giornata simile mi sembra di gran lunga più affascinante del programma che ti riserva la Stelvio Santini (che tengo a precisare di non aver mai fatto e di non aver alcuna intenzione di fare neanche in […]