Faccio l’avvocato del diavolo: perchè uno dovrebbe comprare un telaio italiano da 4.000 euro di una marca che non ha il blasone di Colnago o Pinarello e che per di più non è leggerissimo (come la Dogma e la C60, peraltro) e si chiama Flexy, che di solito non è un buon segno per una bici?

E’ bellissimo con quel tubo orizzontale che si assottiglia sempre più, va bene, ma dubito basti per alleggerirsi di 4 ciambelloni; per qualche motivo un po’ più convincente lascio quindi la parola ai tecnici della Titici, che in questo progetto ci credono davvero:

Motivo Number One: i telai sono interamente fatti in Italia, il che non è solo un discorso di campanilismo o di politica economica.

Come dicevamo parlando della Basso Diamante, altro gioiellino interamente made in Italy, la costruzione del telaio è un procedimento ancora in larga parte artigianale, che richiede cura, manualità e tempo. Nelle grandi fabbriche cinesi per far tornare i conti di solito bisogna fare quantitativi mostruosi, per raggiungere i quali è necessario accorciare i tempi di produzione. In concreto, semplificando molto un telaio made in China può andare in forno un’oretta con un certo quantitativo di resine a presa rapida, quelli Titici stanno in forno 4 ore con pochissime resine. A ciò aggiungiamo che – senza entrare in considerazioni socio politiche sulle Cina e sulle condizioni di lavoro in Cina – di norma l’operaio italiano è più qualificato e abile di quello cinese.

Number Two: tutti i telai Titici sono in tubi fasciati.

Cosa vuol dire? Banalizzando molto, la maggior parte dei telai oggi sono monoscocca, cioè vengono fatti con uno stampo dell’intero telaio della bici, che si “riempie” di carbonio (anche qui guardate il video della Basso per capire come nasce un telaio) e dal quale esce il telaio tutto intero, già finito ed immodificabile. I tubi fasciati invece sono dei tubi in carbonio che vengono tagliati secondo le misure del cliente e congiunti con delle fasce di carbonio (in pratica è lo stesso concetto dei vecchi tubi in acciaio o alluminio, salvo che i tubi non vengono saldati l’uno all’altro, ma, appunto, fasciati con delle fasce di carbonio, che vengono avvolte attorno ai tubi come delle bende e messe in forno a cuocere). La lunghezza di ogni tubo ed ogni angolo può quindi essere facilmente personalizzata in base alle caratteristiche e/o alle esigenze del cliente … un maggiore rinforzo nei punti critici per i ciclisti più pesanti oppure un cambio delle geometrie per chi ha misure particolari o ha esigenze più racing (o, al contrario, più comodose).

Terzo punto: la Plate Absorber Technology (PAT), un brevetto Titici di cui abbiamo già parlato a proposito della Flexy Gravel, che riduce le vibrazioni senza che il telaio perda in reattività. Continuando con la fiera delle banalizzazioni, in pratica significa che il tubo orizzontale si assottiglia sempre di più avvicinandosi al tubo verticale, fino ad essere così sottile da diventare pieno (come sempre chi volesse una spiegazione tecnica un po’ più in grazia di Dio, guardi il sito Titici).

Quarto: il configuratore Titici (www.titici.com) per scegliere i colori della bici (davvero ben fatto) ed ovviamente il fatto che la bici può essere montata come si vuole (Campagnolo, Shimano o SRAM, meccanico o elettronico, Ultegra o Durace, con un paio di ruote o le altre), cosa che dovrebbe essere ovvia, ma che con molte marche non lo è.

Quinto: la Tap Connection Technology, che è una funzione dell’app Titici che ti consente di accedere a vari servizi digitali, come l’archivio degli interventi di manutenzione fatti sulla bici (ovviamente, se chi li ha fatti li ha caricati) – praticamente come avviene per i tagliandi di auto e moto nei concessionari -, l’attivazione della garanzia ed altro, semplicemente avvicinando lo smartphone allo scudetto Titici sul telaio .

Insomma, tanti argomenti e tutti sulla carta convincenti; è comunque ovvio che di tutto questo non ce ne faremmo niente se mezzo chilo di resina cinese a presa rapida fosse performante quanto il carbonio “puro” e/o se il cipputi cinese a furia di sfornare telai avesse imparato l’arte tanto quanto un artigiano italiano con esperienza ventennale.

Come sempre, la risposta definitiva l’abbiamo quindi chiesta ad un test su strada.

E la strada conferma. Che sia merito delle resine o della manodopera italiana, sul passo la Titici Flexy Road va stabile e spedita; sul cambio di ritmo, alla prima pedalata in piedi sembra che il telaio carichi il colpo in canna e alla seconda spari la fucilata (quindi non è vero che i telai monoscocca sono più rigidi e reattivi!). La risposta è incredibile come reattività e fluidità, la bici ti da la sensazione di essere allo stesso tempo immediata e morbida nell’accelerazione, corposa e stabile, una via di mezzo tra le sensazioni di performance del carbonio e quelle di comfort dell’acciaio.

Notevole anche l’effetto del PAT; premesso che la trasmissione delle vibrazione al ciclista dipende da vari componenti (telaio, ruote e copertoncini) e che per smorzare le vibrazioni non ci sarà mai niente di più efficace di una leggera sgonfiatina delle gomme, a parità di atmosfere quando passi su una imperfezione dell’asfalto con la Titici Flexy Road hai l’impressione che sulla buca sia stato steso un tappetino, la vibrazione arriva ovattata.

Carina l’idea dell’app; per registrare gli interventi di manutenzione per me è comunque più comodo usare Strava, che tiene nota anche dei km percorsi dall’ultimo intervento e di quelli fatti con ogni componente.

La Titici è comunque impressionante per come riesce a combinare i due opposti apparentemente inconciliabili, rigidità e flessibilità, reattività e prestazioni; tante bici sono infatti più o meno reattive, ma pochissime sono anche così comode; tante bici sono comode (le varie Endurance o la Cinelli Strato Faster), ma una reattività così se la sognano.

Per la mia esperienza di tester novello, dopo aver provato ormai una ventina di bici di vari prezzi e marche, secondo me questa è una delle tre – con la Basso Diamante e la Pinarello F10 – che si stacca nettamente dalle altre. Sarà un caso, ma sono tre bici italiane, di cui due interamente made in Italy.

Insomma, un mezzo straordinario, che giustifica il suo costo (peraltro siamo ai livelli della Pinarello Dogma F10 o della Colnago C60). Come tutti i modelli dichiaratamente di alta gamma (che, anche quando si parla di bici, sono ovviamente beni di lusso) ovviamente diventa una questione di budget; se il budget per il telaio fosse sui 4.000 euro, la Titici Flexy Road sarebbe assolutamente consigliatissima.

 

Durata test: 150 km

Peso bici nella versione provata, già pronta per uscire (cioè con pedali, supporti Garmin e portaborraccia): circa 7,2 kg

Per questo test abbiamo usato: Telaio Titici Flexy Road, ruote 3T C35, gruppo SRAM Red ETap, copertoncini Vittoria Corsa Graphene.

Abbigliamento: Laclassica Winter Jacket, casco Dot Out Kabrio

Posted by Simo

Sono Simone Frassi, comasco, avvocato civilista, viaggiatore (www.2wd.it), delle bici mi piace tutto, l'allenamento duro, le passeggiate senza fretta con gli amici, l'oretta in pausa pranzo, gli assalti ai miei PR su Strava, le chiacchierate in sella, la ricerca di strade nuove, le gare dei pro, le nuove tendenze di stile, le gite in mtb, l'esplorazione delle città in bici; le uniche cose che non sopporto sono l'agonismo di chi alle GF è pronto a tutto per guadagnare la posizione in classifica che gli consentirà di arrivare 3.000mo e (pur rendendomi conto benissimo che non sono fatti miei) la mancanza di ispirazione chi fa sempre lo stesso giro, come un criceto sulla una ruota (salvo che si tratti di girare a 40 km/h sul circuito di Monza). Email: simo@bklk.it Strava: https://www.strava.com/athletes/807017

One Comment

  1. […] di più due (la BMC e la Dogma F10) sono marchi pro tour, due (la Basso Diamante e la Titici Flexy Road) no, quindi la metà […]

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